Se io sono io perché io sono io e tu sei tu perché tu sei tu,
allora io sono io e tu sei tu.
Ma se io sono io perché tu sei tu e tu sei tu perché io sono io,
allora io non sono io e tu non sei tu”
(M.M. Schneerson; 1999).

L’amore, nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere umano.

Quando l’amore diventa dipendenza?
Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, “dolorosa ossessione” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali.
La dipendenza affettiva (DA) è una condizione relazionale negativa caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia.
Le caratteristiche delle persone “donatori d’amore a senso unico” o dipendenti affettivamente dal partner sono:
– Difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.
Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale. Troppa energia vitale è impiegata nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, poca ne rimane per attività autodeterminate, rivolte al raggiungimento di obiettivi;
– Un atteggiamento negativo verso il Sé.
Queste persone soffrono di un profondo senso di inadeguatezza. Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, disponibili e che per poter ricevere l’amore dell’altro debbano sacrificarsi, anche quando questo vuol dire farsi male. Talvolta, si ha un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli” (M. Selvini Palazzoni, S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentino, 1998);
-Paura di cambiare.
Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse. Chi soffre di dipendenza affettiva è ossessionato da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche. Queste persone ritengono che occupandosi sempre dell’altro la loro relazione diventi stabile e duratura. Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura “amplificato”. Non ci si rende conto che l’amore richiede onestà e integrità personale perché l’amore è un accrescimento reciproco, uno scambio tra persone che si amano.

Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore. Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata è irraggiungibile per colui o colei che ne dipende. Anzi, in questi casi si può affermare che la dipendenza affettiva si fonda sul rifiuto, per altro, se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti, la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di Sè, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro risolvibilità. Quello che incatena nella dipendenza affettiva è l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela.
La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo.

Altre caratteristiche.
Due caratteristiche epidemiologiche importanti della dipendenza affettiva sono:
− L’alta incidenza nella popolazione femminile, al punto da stimare che il fenomeno sia al 99% diffuso in questa fetta della popolazione (Miller, 1994) in molti paesi del mondo;
− La tendenza ad associarsi a disturbi post-traumatici da stress, per cui in genere questa forma di dipendenza si osserva in persone che hanno anche vissuto abusi o maltrattamenti, un aspetto che fa pensare che siano stati tali eventi a far sviluppare forme affettive dipendenti.

Perché è maggiore nelle donne?
Più precisamente, il motivo per cui esiste una grande differenza nella tendenza della dipendenza affettiva a manifestarsi più nelle donne che negli uomini è l’esistenza di un diverso funzionamento psichico tra i due sessi e, in particolare, la presenza di una tendenza degli uomini a reagire diversamente ai traumi subiti rispetto alle donne. Più precisamente, tra gli uomini è più comune la tendenza ad allontanare dalla mente il dolore delle violenze, carenze o prevaricazioni subite attraverso meccanismi di identificazione con l’attore di queste mancanze o aggressioni, un funzionamento che comporta l’assunzione del ruolo precedentemente subito o la manifestazione del bisogno di una “dipendenza”, che non è stata sperimentata positivamente nelle relazioni affettive, attraverso l’abuso di sostanze. Nelle donne, invece, si tende generalmente a rivivere ciò che si è subito, riproducendo le carenze o le violenze, nel tentativo illusorio di controllarle e di riscattarsi dal passato (Miller D., 1994).

Pensieri e vissuti emotivi.
Per quanto concerne i pensieri e i vissuti emotivi nella “dipendenza dall’amore” sono principalmente connotati da:
tendenza a sottovalutare la fatica connessa a ciò che serve ad aiutare la persona amata al punto da raggiungere, senza percepirlo in tempo, livelli elevati di stress psicofisico;
terrore dell’abbandono che porta a fare cose anche precedentemente impensabili pur di evitare la fine della relazione;
tendenza ad assumersi abitualmente la responsabilità e le colpe della vita di coppia;
autostima estremamente bassa e una conseguente convinzione profonda di non meritare la felicità;
tendenza a nutrirsi di fantasie legate a come potrebbe essere il proprio rapporto di coppia se il partner cambiasse, piuttosto che a basarsi su pensieri legati al rapporto attuale e reale;
propensione a provare attrazione verso persone con problemi e contemporaneo disinteresse e apatia verso persone gentili, equilibrate, degne di fiducia, che invece suscitano noia.

Il ruolo della famiglia.
La caratteristica principale delle famiglie in cui sono cresciute le persone con una dipendenza affettiva è quella in cui i bisogni emotivi non vengono riconosciuti (Norwood, 1985).
Famiglie in cui il l’esigenza di affetto e amore vengono trascurati, ma cosa più invalidante, vengono ignorate le percezioni e i sentimenti dell’individuo fin dall’infanzia, e di conseguenza tende ad adattare le sue percezioni a quello che gli viene detto dalle sue figure di riferimento.
Gli esiti sono la perdita della fiducia in sé stessi e nelle proprie percezioni, che da adulti comporta l’incapacità a discernere tra le situazioni e/o le persone che possono arrecare danno.
Talvolta è presente violenza tra i genitori e/o tra genitori e figli, con lunghi periodi di tempo in cui rifiutano di parlarsi tra loro; oppure un comportamento sessuale scorretto da parte di un genitore verso una bambina o un bambino, che può andare dalla seduttività fino all’abuso sessuale.
Possono essere presenti in tali famiglie anche l’abuso di alcol o di altre droghe, comportamenti compulsivi come il bisogno irresistibile di continuare a mangiare, lavorare, pulire, giocare d’azzardo, spendere, ecc. Questi comportamenti coatti sono come droghe, processi patologici progressivi.
Tra i molti effetti dannosi, distruggono e impediscono contatti sinceri e intimità nella famiglia perché non si dà importanza ai rapporti, ma all’obbedienza alle regole.
Le famiglie disturbate possono avere problemi diversi, ma tutte hanno in comune un effetto sui figli: sono tutti bambini in qualche modo sminuiti nella loro capacità di comprendere i sentimenti propri e altrui e di mettersi in relazione con gli altri. Pertanto a causa dei nostri bisogni diamo all’altro il potere di stabilire il nostro valore, cadendo facilmente nella trappola della dipendenza affettiva. Questi rapporti regressivi sono deludenti e frustranti, perché si basano sul desiderio di compensare una mancanza passata, e non su chi siamo realmente oggi e che cosa ci meritiamo davvero (Brenda Shoshanna 2003).

L’altro come “un fornitore di affetto”.
L’altro viene inteso come “un fornitore di affetto” assumendo di conseguenza un approccio da mendicanti. Molti di noi dipendono dal senso di benessere che deriva dall’approvazione altrui. Sin dalla culla ci viene insegnato a mettere in atto ogni tipo di trucchi per ricevere amore e attenzione. L’idea di doverci comportare in un certo modo per essere degni di ricevere amore può continuare per tutta la vita.
Spesso ci comportiamo in modo da compiacere chi ci è vicino, diciamo una cosa pensandone un’altra, ci vestiamo nel modo giusto, guidiamo le macchine giuste e vogliamo il partner che ci riempie di orgoglio quando lo esibiamo in pubblico.

Più approvazione riceviamo dagli altri, più pensiamo di essere “grandi”. Pochi comprendono che è uno dei maggiori ostacoli all’innamoramento e all’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore:
Dott.ssa Daniela Amalia Mellino, biologa nutrizionista.

Articolo:
La terapia nutrizionale delle patologie gastro-intestinali: la gastrite.

L’apparato gastro intestinale o digerente umano è un sistema di organi e tessuti organizzati per formare il tubo digerente, un canale che va dalla bocca all’ano e comprende: bocca, epiglottide, faringe, esofago, stomaco, duodeno, fegato, pancreas, intestino tenue, cieco, colon, sigma, retto e ano.
Il raggruppamento di tali organi collabora ad uno scopo comune, ovvero digerire gli alimenti, elaborarli ed assorbire i principi nutritivi contenuti in essi, eliminando i residui non utilizzabili per il metabolismo, sotto forma di feci.

Digestione e Assorbimento.
Digestione e assorbimento sono le principali funzioni di questo apparato. Per digestione si intende una
serie di processi, per mezzo dei quali gli alimenti, sostanze complesse, vengono scissi in elementi più
semplici, in grado di superare la barriera intestinale ed essere assorbiti. Tale processo inizia nella bocca e
continua nello stomaco. Invece, l’assorbimento, una delle funzioni più affascinanti del nostro organismo,
avviene nell’intestino, un organo molto complesso che rappresenta il primo punto di incontro tra le
sostanze che derivano dal mondo esterno e il nostro organismo.

Quante patologie gastro-intestinali?
Le patologie gastro-intestinali possono essere distinte in organiche (che compromettono l’attività di uno o
più organi costituenti l’apparato digerente, causando un malfunzionamento di questi ultimi e di
conseguenza difficoltà nella digestione o nell’assorbimento dei principi nutritivi) e funzionali (ossia, senza
che anomalie radiologiche, biochimiche o patologiche vengano riscontrate).
Con questa denominazione dunque, si comprendono tutte quelle condizioni in cui le normali funzioni motorie e la sensibilità dei nervi dell’apparato digerente sono alterate, ma alla cui origine non si riesce a dimostrare una malattia di un preciso organo.

Cause principali.
Tra le cause, sia del primo che del secondo tipo di patologie, troviamo:
Spesso uno stile di vita stressante, fatto di pasti in piedi, veloci o cattive abitudini alimentari, come non bere sufficiente acqua o sostituirla con bibite gassate;
Soprattutto, troviamo un’alimentazione non regolare, sbilanciata, fatta di un eccessivo consumo di grassi saturi e carboidrati semplici, magari derivati da prodotti industriali (snack, cracker, biscotti, patatine);
Il tutto, combinato ad uno scarso introito di fibra, al di sotto dei bisogni fisiologici.

Pertanto, la nutrizione e la terapia dietetica sono discipline imprescindibili dalla gastroenterologia. Infatti, la terapia della maggior parte delle patologie gastrointestinali è di tipo combinato: farmacologico e nutrizionale.
Tuttavia, ancora molte persone, ad oggi, ignorano gli effetti benefici della terapia nutrizionale, ciò causa nei pazienti guarigioni incomplete e ritardo nella scomparsa della sintomatologia.

Cosa significa seguire una terapia nutrizionale?
Seguire una terapia nutrizionale personalizzata significa invece, scegliere di cambiare la propria alimentazione, nel caso di disturbi organici, al fine di spegnere l’infiammazione e ridurre al minimo le possibilità che si danneggino ulteriormente i tessuti coinvolti nell’infiammazione degli organi oggetto del malfunzionamento, dando al contempo la possibilità all’organismo di riparare i tessuti danneggiati. Nel caso di disturbi funzionali, significa intraprendere un percorso, indicato dal nutrizionista, volto a sondare le possibili cause delle alterazioni funzionali.
Il nutrizionista, dopo un’attenta analisi delle abitudini alimentari del paziente e dei disturbi da esso riferiti, elabora una dieta personalizzata, rispondente ai fabbisogni del paziente, ma al contempo volta a definire le reali cause dell’alterazione di tipo funzionale. In seguito, in base alla risposta del paziente alla terapia nutrizionale, il nutrizionista sarà in grado di indirizzare il paziente verso eventuali esami diagnostici di approfondimento e di fornire al medico informazioni più approfondite per la diagnosi. Dunque, la terapia nutrizionale risulta essere una scelta di primaria importanza nel trattamento dei disturbi gastrointestinali, sia acuti che cronici.

Tipologie di patologie gastrointestinali.
Le patologie gastrointestinali che possono verificarsi sono molteplici e sarebbe impossibile affrontarle
tutte in questo articolo che è a scopo divulgativo. Tuttavia, ci dedicheremo a quelle più frequenti, agli
organi interessati ed ai disturbi ad essi correlati. Cominceremo la trattazione esaminando il primo organo
protagonista della digestione, ovvero lo stomaco e una patologia ad esso correlata, molto diffusa: La gastrite.

Gastrite e stomaco… lo sapevate che…?
La gastrite è una patologia che affligge circa il 50% della popolazione in tutto il mondo. Si tratta di una
infiammazione acuta o cronica della mucosa gastrica (che può essere erosiva o non erosiva).
I sintomi comprendono dolore, gonfiore, bruciore alla bocca dello stomaco, rallentamento digestivo e si
accompagna spesso anche ad eruttazione, nausea e vomito.
L’organo interessato è dunque lo stomaco, un sacco fibromuscolare espandibile, che collega l’esofago all’intestino tenue.
Semplificando, la superficie interna dello stomaco contiene speciali cellule, alcune deputate alla produzione di acido cloridrico e enzimi, in grado di digerire gli alimenti, altre che producono muco, in grado di proteggere la superficie dello stomaco stesso dall’azione erosiva dell’acido cloridrico ed altre ancora che producono ormoni in grado di regolare questi meccanismi.

Cosa succede nei soggetti cone gastrite?
Nei soggetti affetti da gastrite la produzione di muco da parte delle cellule mucose non è sufficiente per tamponare l’iperacidità dello stomaco. Mancando il rivestimento mucoso, le cellule esposte all’ambiente acido vengono erose e distrutte. La distruzione colpisce tutti i tipi di cellule, pertanto anche le cellule che producono acido e enzimi, rendendo difficile la digestione degli alimenti che rimangono parzialmente indigeriti, creando gonfiore, tensione addominale, bruciore e difficoltà digestive a valle. I sintomi spesso si riacutizzano durante i periodi di intenso stress (che aumenta la produzione di acido) o durante i cambi di stagione, in particolare in autunno e in primavera.

Cause della gastrite.
Le cause di questa patologia possono essere svariate:
infezioni batteriche;
abuso di alcol (sempre più frequente nei giovani), fumo;
stress intenso;
abuso di farmaci analgesici e antinfiammatori;
dieta inappropriata.

Riconoscere le cause è di fondamentale importanza, perché solo agendo alla base del disturbo si otterrà la risoluzione della malattia. Infatti, spesso solo correggendo abitudini alimentari sbagliate si ottiene già una remissione dei sintomi, nei casi più semplici.

Errori comuni.
Esistono infatti, alcuni errori comuni, come mangiare troppo velocemente, senza masticare bene gli alimenti, magari ingurgitando porzioni eccessive oppure mangiare dolci o biscotti a fine pasto, soprattutto cioccolata (spesso irritante per la mucosa gastrica) o ancora avere l’abitudine di consumare alimenti molto grassi o molto conditi.
Spesso anche atteggiamenti considerati sani, come bere durante i pasti o digiunare a lungo, possono risultare invece molto dannosi per chi soffre di questa patologia. Tuttavia, non è importante solo
eliminare ciò che può far male, ma è importante anche aggiungere all’alimentazione di chi soffre di tali
disturbi alcuni alimenti preziosi: ad esempio le carote, che per le loro proprietà cicatrizzanti e lenitive svolgono un’azione riparativa a livello gastrico e per le loro proprietà antisettiche riducono l’infiammazione delle ulcere gastriche, risultano molto utili.
In particolare, assumere un centrifugato di carote crude, a cui aggiungere un cucchiaino di olio evo, può risultare benefico per accelerare l’attività riparativa della mucosa gastrica.
Anche un’erba aromatica poco utilizzata come la salvia, può nascondere preziose proprietà e risultare un valido alleato contro i sintomi della gastrite. La salvia ha infatti la capacità di facilitare la digestione dei
grassi ed ha un’azione tonificante sulle pareti dello stomaco. Può essere utilizzata come tisana, da
assumere lontano dai pasti o sotto forma di foglie fresche o essiccate, per condire le carni bianche, ma soprattutto quelle rosse, che a causa delle loro caratteristiche organolettiche risultano poco tollerate dai soggetti che soffrono di gastrite.

I casi complessi.
Infine, esistono casi più complessi, in cui le cause della gastrite sono da ricercare attraverso esami di approfondimento diagnostico, che il nutrizionista può concordare con il medico, dopo aver visitato il paziente.
Ad esempio, in base ai sintomi, in genere, un primo approfondimento diagnostico è orientato alla ricerca dell’Helicobacter pylori (H. pylori), che rappresenta una delle più comuni cause di infezione da gastrite cronica. Si tratta di un batterio Gram negativo, in grado di infettare la superficie mucosa dello stomaco, attuando meccanismi di protezione, che gli garantiscono la sopravvivenza all’acidità gastrica, ed è pertanto molto difficile da eradicare. Tuttavia, la gastrite cronica, con cui si indica un’infiammazione costante della mucosa gastrica, col tempo, in alcuni soggetti, può evolvere in un’erosione della parete dello stomaco denominata ulcera peptica, molto più grave. Attualmente non si conoscono ancora dettagliatamente le cause della trasmissione da Helicobacter Pylori; diversi studi hanno dimostrato che in aree con bassi livelli di sanificazione H. pylori può essere trasmesso attraverso acqua, cibo contaminato o contatto con animali infetti. Tuttavia, anche in paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, tra il 20 e il 50% della popolazione può essere infetta, anche se non tutti i soggetti manifestano i sintomi.

Dunque, tornando alla gastrite in generale, in tutti i casi la terapia nutrizionale svolge un ruolo di primaria importanza nel trattamento di questa patologia, perché controlla le caratteristiche chimico- fisiche degli alimenti che vengono in contatto con la mucosa gastrica, equilibra le quantità, bilancia le macro e i micro nutrienti e stabilisce le cotture più adeguate. Infatti, un’alimentazione mirata agisce non solo riequilibrando l’acidità gastrica, ma anche riducendo al minimo i sintomi, evitando che la mucosa gastrica venga quotidianamente danneggiata da stimoli nocivi e permettendo al contempo all’organismo di riparare.

Autore:
Dott.ssa Daniela Amalia Mellino, biologa nutrizionista.